Memorie: venti anni del terremoto Umbria-Marche e riflessioni sul ripristino post-emergenziale

Sono le 8.33 di sera sul fuso orario di New York, in Italia le 2.33 del mattino. Esattamente venti anni fa, la mia regione, l’Umbria, e le Marche venivano scosse nella notte da un fortissimo terremoto. Saranno pur passati venti anni, ma il ricordo di quella notte resta ancora vivo nella mia mente. Letto che trema, finestre che sbattono, e nel condominio dove vivo (si perchè a Natale ritorno sempre) gente che urlava e nel buio cercava di accendere la luce. Apri la porta di casa e scendi le scale, per raggiungere il giardino. Notte insonne, con la radio accesa ad ascoltare le notizie sulle frequenze dei tg nazionali.

Al mattino, torni in casa per un caffè, rischiando un pò di beccarti una scossa. Tg che mandano in onda immagini di paesetti sconquassati, case divelte e sguardi di persone terrorizzate, sedute sulle panchine, coperti con i soli indumenti e coperte di fortuna che sono riusciti a tirar fuori di casa. Da lì a qualche ora altre scosse violente. La più forte di magnitudo 6.1 alle 11.45.

Per mesi, si susseguiranno scosse. Il cratere del terremoto era vasto. Migliaia di persone venivano accolte nei campi allestiti da infaticabili volontari, che si sono prodigati al fine di poter portare soccorso e conforto a migliaia di cittadini che avevano perso tutto.

Sono passati 20 anni, il processo di ritorno alla normalità ce ne ha messi almeno una quindicina se non di più, anche se Norcia e zone circostanti sono state colpite di nuovo. In quasi venti anni, ho visto ricostruire frazioni, paesi interi, quartieri di Foligno, mia città natale. E così forse vedrò, chissà quando, i miei amati paesi di montagna.

Purtroppo il processo di ripristino non è mai semplice, tanto meno breve e senza dolori. I problemi ci sono stati, e ci saranno. Per quanto si possa avere in mente una linea guida generale per il ripristino, lungo il cammino ci sono difficoltà che vanno affrontate. Se da un lato esiste una burocrazia lenta, dall’altra si contrappongono cittadinanze che chiedano a gran voce che tutto torni come una volta. Che poi, diciamocelo chiaro, le cose non torneranno come prima, tanto meno velocemente. Ci sono fattori e dinamiche sociali ed economiche che si intrecciano. Se penso alla mia Regione che ha impiegato quasi venti anni per tornare a quello che era, altrettanti ne dovremo aspettare per tutte quelle realtà che sono state colpite recentemente. L’Aquila, l’Emilia Romagna, Amatrice e di nuovo Norcia e poi Ischia dovranno rimboccarsi le maniche per far si che le comunità possano tornare a quello che erano.

Questi eventi impattano sul tessuto sociale quanto quello economico. Studi su studi hanno dimostrato come il senso di comunità e coesione si possa perdere facilmente. Tutte le volte che non è stata trovata una sistemazione consona per le migliaia di persone che quotidianamente vivono il territorio, queste si sono viste costrette a trasferirsi a chilometri di distanza, senza spesso avere la possibilità di continuare la loro vita quotidiana. Leggo spesso su siti a carattere geologico e ingegneristico che il ripristino passa dalle infrastrutture. Niente di più sbagliato, se si pensa di poter ricreare quel senso di comunità ricostruendo una strada. Le infrastrutture sono importanti tanto quanto gli aspetti sociali. Uno sradicamento dal territorio, senza dare la possibilità di poter continuare a vivere quel poco che resta, è la miglior arma di distruzione delle piccole comunità colpite dagli eventi naturali.

Che fare allora? Spero sempre che nel futuro si tenga più in considerazione l’incorporazione delle voci di chi vive direttamente le tragiche situazioni post emergenza, nella più ampia fase progettuale per il ritorno alla normalità, benché normalità non lo sarà mai. Creare quindi gli strumenti per poter operare in sinergia tra tutti gli attori e le comunità. Parlare di processi partecipativi, sia in fase pre-disastro che post-disastro è di rilevante importanza. Questo tema, che dovrebbe essere tanto caro alle istituzioni, è la base su cui si fonda la governance democratica, fatta di un network di attori che strategizza, pianifica e attua, affinché si ottengano risultati condivisi tra tutti gli attori coinvolti.

@paolocvl

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