
E’ un pò di tempo che mi frulla in testa l’idea di scrivere qualcosa sulle certificazioni per emergency manager/disaster manager. Oltretutto, proprio qualche giorno fa un mio carissimo amico mi ha chiesto maggiori informazioni e se realmente conviene intraprendere questo percorso, che tengo a precisare, non è né semplice, né breve.
La storia dei disaster manager in Italia è stata spesso travagliata. Si sta riaprendo un filone di pensiero che vuole portare al centro del dibattito la figura a 360 gradi del disaster manager o emergency manger, che a dir si voglia. Per dimensione culturale del sistema italiano, la protezione civile è stata costruita intorno a figure professionali specializzate, quali vigili del fuoco, ingegneri, medici, militari e via dicendo. Questi professionisti hanno messo al servizio della protezione civile, la propria formazione, le proprie competenze e capacità manageriali.
Ricordo benissimo, quando mi fu detto (da un funzionario pubblico) che, “finché si avranno queste figure professionali, del disaster manager non ce ne sarà bisogno”. In fondo è solo un problema culturale, non organizzativo. Tanto più che la figura del disaster manager, per un pò di tempo era apparsa sulla scena, poi come d’incanto scomparsa. E solo da poco, vedo finalmente con piacere, che la discussione si è riaperta, con l’introduzione delle norme UNI, precisamente la UNI 11656/2016.
La norma UNI di recente introduzione va a colmare una lacuna, che per tempo il legislatore italiano non ha mai saputo soddisfare. Oltretutto presenta un framework di valutazione piuttosto “corposo” che tocca, non solo le aree di competenza: previsione, prevenzione, soccorso e ripristino; ma soprattutto le capacità individuali, manageriali e relazionali del singolo individuo che ne farà richiesta. Ricordiamo sempre che il disaster manager, prima di tutto è una persona, che deve rapportarsi con i propri colleghi e altri individui. La sola conoscenza di leggi e decreti e concetti, senza un minimo di leadership e attitudini collaborative, non ne farà di certo un buon disaster manager.
Chi ne può beneficiare? Sicuramente i dipendenti pubblici, che hanno esperienza professionale nel settore delle emergenze. Infatti, leggendo il processo di certificazione, si richiedono anni di esperienza lavorativa, e quindi retribuita. Nell’ottica di una pubblica amministrazione sempre più in linea con i principi del New Public Management, le credenziali e certificazioni dei dipendenti pubblici (corsi di formazione, studi extra-curricolari) sono di sicuro un punto di riferimento per chi vuole, o acquisire ruoli di responsabilità o progredire di livello nella piramide della gerarchia burocratica.
Questo vale anche per quelle figure che sono preposte all’emergenza in grandi compagnie private, come ad esempio impianti petroliferi, impianti nucleari, etc. E nel settore privato, va oltretutto menzionata la business continuity, che presenta percorsi condivisi con il disaster management, e altri piuttosto specifici.
No ai volontari! e me lo sento di dire a tutti, senza remore, e pronto a prendermi le critiche. I volontari non sono professionisti! e come tali, gli anni di volontariato, non saranno mai paragonati ad anni di esperienza lavorativa. Ogni organizzazione è libera di rilasciare pezzi di carta volta a “certificare” il proprio personale ad uso interno. Ma di certificazioni autoreferenziate il settore della protezione civile non ne ha bisogno. La norma Uni è per professionisti! A meno che il volontario, non sia a sua volta un professionista, al che la musica cambia.
In conclusione: in Italia abbiamo davvero bisogno di una certificazione UNI? Si e no. Culturalmente il nostro sistema è ancorato alle professioni distinte. Ma per un cambio di mentalità, allora la certificazione sarà un bel passo avanti.