Ci sono spazi che diventano luoghi, soprattutto nelle pause pranzo e durante i coffee break. Quando i relatori smettono di relazionare, a parlare sono gli altri. Lo fanno tra loro davanti a un caffè, masticando un chicco d’uva, in terrazza o lungo i corridoi, a volte con una sigaretta tra le dita o incastrata fra le labbra. Ma niente di tutto questo può stupire. Del resto Bertinoro è il paese dell’ospitalità. Qua, dove il borgo offre una visione circolare della pianura romagnola, un tempo le famiglie si litigavano l’accoglienza dei viandanti. Ma da diciassette anni a questa parte i pellegrini non sono altro che una nutrita (e qualificata) rappresentanza del terzo settore.
C’è chi ha fatto di questo amore una professione e chi invece l’ha relegato nei confini della passione. Ci sono cooperanti, volontari, docenti, ricercatori, giornalisti, politici, studenti. L’alto livello degli speaker fa di questa rocca che vide passare Federico Barbarossa e Cesare Borgia uno spazio civile d’arricchimento.
Ma è il luogo delle relazioni che riserva sorprese. S’incontrano vecchi amici, se ne fanno di nuovi. E si gettano perfino le basi per inedite idee progettuali, si ride di fronte ai cappelletti e con uguale passione si discute vivacemente di economia civile, d’impatto sociale, di rigenerazione e di valori. Di fatto ci si confronta sempre e comunque con la nuova dimensione della comunità. Si discute di noi. Proprio qua, alle Giornate di Bertinoro per l’economia civile, dove si sintetizza la geografia dell’Italia intera. Perché in questo spazio che diventa luogo arrivano da ogni parte, dal Piemonte alla Sicilia.
“Il terzo settore in transito” è il tema di questa edizione. Una scelta non casuale, perché nel 2018 – dopo alcuni anni tribolanti fatti di confronti, scontri e consultazioni – la riforma dovrebbe trovare il suo compimento. E qui arriva la prima sorpresa. Dal sottosegretario alle politiche sociali Luigi Bobba scopriamo che il tema delle reti, così com’è sviluppato nella riforma, è stato «copiato» dal modello della protezione civile e che – com’era prevedibile – il riordino nazionale si legherà stretto alla nuova legge del terzo settore. Di questo, però, parleremo in un’altra occasione.
Ma c’è di più. La protezione civile ha resistito alla crisi, anche sul piano dell’occupazione. A dirlo è l’Istat, che a Bertinoro ha presentato l’anticipazione di un paper inedito (i dati fanno riferimento a un archivio sperimentale in corso di completamento e verranno presentati ufficialmente entro la fine dell’anno). Il risultato? È evidente: il tasso di sopravvivenza delle istituzioni non profit è superiore a quello delle imprese.
A questo si aggiunge un altro indispensabile elemento che riguarda la dinamica occupazionale. In mezzo alla crisi, a far registrare un incremento sono (nell’ordine) cooperazione (più 18,6%), assistenza sociale e protezione civile (9,5%), ambiente (8,5%). È questo il podio.
Una crescita resiliente che si declina anche analizzando i profili delle nuove istituzioni non profit: cultura e sport (più 24,9%), cooperazione (21,3%) e ancora una volta assistenza sociale e protezione civile (19,8%).
Dati e tendenze positive, quindi. Ma che non sia di consolazione, perché il bicchiere è solo mezzo pieno. Perché niente meglio della citazione (quasi centenaria ma estremamente contemporanea) del sociologo ed economista Mauro Magatti riesce a sintetizzare la realtà.
«La crisi consiste appunto nel fatto che il vecchio muore e il nuovo non può nascere: in questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati» – [Antonio Gramsci, 1930]