E se la protezione civile entrasse nei luoghi di lavoro?

Quando scatta l’emergenza sono tra i primi a intervenire. Loro, i volontari di protezione civile, li vedi ovunque. Fisicamente, là dove c’è più bisogno. Ma anche su giornali, radio e telegiornali. Ci sono foto, racconti, storie. E sempre i volontari sono il corpo, l’anima e l’intelligenza di tante iniziative di prevenzione: li (ri)vedremo il prossimo 14 ottobre nelle piazze italiane per la settima edizione della campagna “Io non rischio”. La campagna nazionale promossa da Anpas, Dipartimento di Protezione Civile, Ingv e ReLuis.

I volontari sono degli ambasciatori straordinari, perché ciascuno di loro oltre alla competenza, porta la propria storia di umanità. In questi anni mi sono trovato più volte a pensare che potrebbe essere una grande opportunità portare la cultura di protezione civile direttamente nei luoghi di lavoro – come si fa per la tutela della salute dei lavoratori con il DLgs 81/2008 – attraverso (e valorizzando) i volontari di protezione civile. Magari utilizzando per primi coloro che in quei luoghi già lavorano. E laddove non è possibile utilizzarli o non sono presenti, si ricorre ai tanti altri volontari che avranno voglia di impegnarsi in questa attività.

Ora mi chiedo (e vi chiedo): quali risultati otterremmo se un percorso di informazione specifica sui temi quali terremoto, alluvione, maremoto si attuasse capillarmente dentro i luoghi di lavoro? E allora ecco l’idea: perché non portare nelle aziende “Io non rischio” o altri percorsi di informazione codificati da tenersi durante l’orario di lavoro? Ci sono migliaia di persone che potrebbero essere raggiunte. In un paese come il nostro (con il cambiamento climatico in atto e il forte rischio sismico a cui è esposto) che ha un grande bisogno di fare prevenzione non strutturale, credo che questa sarebbe una opportunità da cogliere. Certo, oltre alla politica, bisogna far capire agli imprenditori e ai lavoratori l’importanza di un percorso di questo tipo.

Questa proposta può essere ingenua, vista come una forzatura, o come un percorso forse di difficile, se non impossibile, realizzazione. O magari questa idea – che è tutta da sviluppare – di introdurre percorsi di informazione sui rischi terremoto, alluvione e maremoto all’interno dei luoghi di lavoro, che siano riconosciuti dalla legge e curati dal volontariato organizzato di protezione civile (che però deve poter assentarsi dal posto di lavoro quando impegnato in questa attività) potrebbe trovare spazio all’interno dei decreti delegati della legge per il riordino del sistema di protezione civile. I nove mesi non sono ancora scaduti.

Perché è proprio diffondendo ovunque la cultura della prevenzione che si può pensare di costruire un Paese più resiliente.

@lcalzolari

Foto: Anpas

2 comments

  1. Proposta interessante e condivisibile. Eviterei format didascalici. Magari si potrebbe partire proprio da tavoli partecipati con i lavoratori e le imprese per valutare l’impatto degli eventi naturali sulle infrastutture, l’accessibilità, la connettività e i processi gestiti per far dei “piani aziandali” non solo di azioni di protezione civile -e quindi di gestione delle situazioni emergenziali- ma anche degli interventi che potrebbero essere implementati per mitigare questi impatti (come azioni di adattamento, visto che il cambiamento climatico sembra determinare un’aumento della frequenza e intensità degli eventi estremi). La PA potrebbe essere coinvolta nel raccordo di questi piani con quelli comunali di proezione civile. Si potrebbero utilizzare alcune esperienze vissute, come aziende nell’astigiano ch hanno afforntato questo problema dopo l’alluvione del 1994 e renderle tesitmonianze diffuse. Anche il progetto DERRIS LIFE, in corso, rappresenta un interessante tentativo per far riflettere le PMI sui rischi e sulla necessità di proteggersi dagli impatti negativi. Affrontare in moaniera sistematica il problema dei rischi connessi agli eventi naturali esterni nel luogo di lavoro, consentirebbe di trasferire l’approccio anche alla conoscenza e alla “gestione” del luogo in cui si vive. Buona idea!

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