Il rischio di comunicare l’emergenza (e viceversa)

Ci perdonerete i giochi di parole. Un plurale utilizzato non a caso, visto che con le parole, stavolta, abbiamo giocato parecchio. Ci siamo concessi di estendere come un elastico la definizione di questioni molto serie – e a noi molto care – come ad esempio la comunicazione del rischio e dell’emergenza. Sotto il grande cappello battezzato col nome “L’emergenza di comunicare torniamo al Festival italiano del volontariato per parlare di protezione civile. Ma stavolta – oltre a raggiungere Lucca per raccontare un evento da anni, ormai, ci vede protagonisti col nostro giornale – ci ritroveremo fisicamente in Toscana con la community di #GPCblog.

Tra i nostri blogger ci sono persone speciali. Gente competente, professionale, seria. Gente che, oltre ad essere tutto questo, è anche molto di più. Perché ognuno di loro, oltre a conoscere i meccanismi delle cose, è dotato anche di una visione.

Ecco, è proprio questo l’aspetto più importante: avere una visione, meglio se una visione d’insieme. Io sviluppo tecnologico ha sconvolto in pochi anni i nostri ritmi di vita. E anche se tutto questo rappresenta un’opportunità da cogliere (seppur con le dovute precauzioni), scopriamo improvvisamente di non esserci concessi il tempo di capire.

La velocità è diventata improvvisamente un valore che, oltre ad alimentare un flusso di comunicazione costante e a tratti carico di rumore inutile, ha aumentato le nostre ansie incidendo negativamente sulla qualità dei contenuti prodotti e sulla comprensione di quegli stessi contenuti. Se andassimo a ricercare i dati sull’analfabetismo funzionale, scopriremmo – senza sorprenderci – che la percentuale è altissima. Non solo in Italia, ma ovunque.

Certo, la comunicazione nell’era dei social ha pregi e difetti. Possiamo investire del tempo ad analizzare, studiare, strutturare e destrutturare al fine d’indicare una via possibile e plausibile da seguire. Quando però si parla di protezione civile, di emergenze e di cultura del rischio e di allerte meteo, ecco che un altro tipo di ansia ci assale. Non è la stessa ansia causata dalla velocità, dal bisogno di essere pronti e sempre connessi, dai flussi comunicativi che scorrono come fiumi in piena senza conoscere mai la siccità virtuale.

No, l’ansia che proviamo è quella dettata dalla responsabilità. Per noi stessi, per le nostre vite e per quelle di tutti i cittadini. Così Il Giornale della Protezione Civile.it – che ho fondato e che sono fiero di dirigere – insieme agli amici di PA Social – che su questi temi, nell’ambito della pubblica amministrazione, hanno rotto ben più di un tabù – abbiamo pensato bene di organizzare a Lucca un’intera giornata fatta di laboratori, confronti e dibattiti.

Domani (sabato 11 maggio), sotto il titolo “L’emergenza di comunicare” cercheremo di analizzare (e raccontare) come si comunica l’emergenza. Lo faremo con due workshop: “Smart city, strumento di resilienza” e “Metodi (in)efficaci per comunicare le allerte meteo”. Ecco che tornano i giochi di parole. Poi, nel pomeriggio, c’incontreremo in una sessione plenaria: “#GPCblog, il rischio di comunicare l’emergenza (e viceversa)”. Quest’ultimo incontro (dalle 14.30 alle 18 nella tensostruttura di Piazza Napoleone) è riconosciuto dall’ordine dei giornalisti e sarà valido per i crediti formativi obbligatori.

È importante che queste riflessioni siano condivise con chi, il mestiere, lo fa tutti i giorni. Criticità, buone pratiche, strumenti utili alla lettura delle informazioni. Insomma, se continuiamo a investire energie su questi temi è anche perché non vorremmo più veder smentire anni e anni di analisi dei climatologi mondiale in due soli titoli di giornale. Ricordate Libero di qualche giorno fa? “Riscaldamento globale? Ma se fa freddo”, titolava in prima pagina. E, poco più sotto: “Il termometro smentisce i gretini nostrani”.

Ecco, noi siamo felici di continuare a fare i gretini.

@lcalzolari

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *