Non sarebbe arrivato il momento di parlare, in modo franco e adulto, di rischio accettabile?
Alla fine, se ci pensiamo, ogni volta che decidiamo di agire (o non agire), di fare (o non fare), di parlare (o non parlare), ogni volta ognuno di noi, come singolo, come coppia, come famiglia, come comunità, accetta una percentuale di rischio. Altrimenti, forse, non faremmo o non diremmo nulla e ci sarebbe un lock down perenne, anche dei nostri discorsi (quante volte abbiamo pensato “mi prendo il rischio di dire questa cosa”?).
Il problema del rischio accettabile come comunità è che qualcuno dovrebbe prendersi la responsabilità di decidere. Una responsabilità condivisa, ovviamente, con i cittadini. Decisioni discusse, spiegate e supportate. In teoria, la consacrazione del voto elettorale (a tutti i livelli) dovrebbe essere il suggello di questo supporto: mi fido di te, faccio un patto con te affinché tu possa rappresentarmi, rappresentare le mie idee e prendere delle decisioni.
Chi governa, in questo “gioco” di responsabilità dovrebbe aver deciso consapevolmente di volerci stare. E, quando serve, queste valutazioni sul rischio accettabile, queste responsabilità dovrebbe avere il coraggio di farle e prenderle. E di spiegarle. Perché, se siamo adulti (fino a prova contraria), non si può dire che i cittadini, di fronte a certe valutazioni, potrebbero non capire. L’unica cosa certa è che se non si spiegano non verranno capite.
È chiaro che tutte le valutazioni che si stanno facendo e le decisioni che si stanno prendendo anche in questa emergenza (sanitaria e non solo) si basano su analisi di diversi livelli di rischio: i colori rosso, arancione, giallo e verde di cui si inizia a leggere qua e là (e che sono il classico sistema convenzionale per parlare di rischio in tantissimi settori, basta pensare ai semafori o alle allerte meteorologiche) dovrebbero basarsi proprio su questo.
Però parliamone, spiegatecelo, anche nella crudezza che ci sarà dietro a queste valutazioni. Perché si sta parlando di rischio accettabile di contagi, di rischio accettabile di ricoveri, di rischio accettabile di posti in terapia intensiva da occupare, di rischio accettabile di persone che non riusciranno a sopravvivere. Di rischio accettabile di tassi di disoccupazione, di emersione di altre patologie e così avanti.
Se dobbiamo davvero entrare in una fase 2 di questa “emergenza per contenere la diffusione del coronavirus”, o in una fase 3 o in quello che sarà, se davvero “non saremo più quelli di prima” (con tutti i dubbi che una simile frase può generare) magari proviamo a trattarci un po’ di più come responsabili. Tutti quanti.
@francimaf