Quando la meteorologia diventa uno spot

(dal TGR Basilicata 15.02.2018 edizione ore 14:00)

Decisamente istruttivo, da un punto di vista delle scienze dell’informazione, della comunicazione e dell’editoria, oltre che dell’istruzione scientifica e della meteorologia operativa, questo breve spezzone dal TG3 regionale della Basilicata dello scorso 15 febbraio, estratto dal servizio di cronaca che raccontava gli eventi meteorologici del giorno precedente.
Questa ventina di secondi, infatti, contengono una importante risposta – tanto sorprendente quanto significativa – ad annosi interrogativi, e ci danno lo spunto – superati i primi momenti di scoramento – per alcune riflessioni interessanti.

Il fatto di cui si racconta è presto detto: nonostante fossero state ampiamente annunciate (sia dalle rubriche generaliste, curate sui media dai meteorologi degli enti pubblici e privati, che dai messaggi istituzionali specificatamente dedicati alle allerte), la nevicate al meridione nel pomeriggio-sera di quel14 febbraio hanno colto migliaia di persone “di sorpresa” (testuale), creando parecchi disagi alla viabilità, con file di auto incolonnate anche per ore.

Voi direte: ma com’è possibile, peraltro nell’era in cui le informazioni (comprese quelle meteorologiche) viaggiano istantaneamente su molteplici canali, tutti facilmente fruibili con i più svariati mezzi, che simili notizie non fossero giunte ai cittadini?
La risposta è, forse, la più disarmante possibile. Un cittadino, intervistato dalla giornalista mentre è fermo in coda sulla statale di Fondo Valle d’Agri, racconta che la nevicata è stata per lui, per l’appunto, “una sorpresa”, spiegando di aver “guardato le previsioni, ma… vai a pensare che fossero corrette”.

Ebbene sì. Lo avevano visto e sentito eccome, gli abitanti di quelle zone, che i meteorologi annunciavano, per il pomeriggio e la sera di San Valentino, abbondanti nevicate a quote interessate da importanti arterie stradali, ma non ci credevano poi più di tanto. Anzi, direi che non ci credevano affatto. Ma questo non tanto per la fisiologica ed ineliminabile incertezza che avvolge per definizione una previsione (e non certezza) sullo stato futuro di un sistema fisico caotico come l’atmosfera, indeterminazione peraltro assai ridotta in questo caso, essendo le nevicate in arrivo assolutamente conclamate… no, è proprio che non ritenevano seria e credibile quell’informazione previsionale.

E questo piccolo esempio, come ogni anno se ne potrebbero fare migliaia (in tutta Italia, senza eccezione alcuna), ci aiuta nel mettere a fuoco i danni irreparabili che sono stati arrecati alla cultura di massa del nostro Paese, non solo con il risultato di violentare brutalmente la formazione scientifica di base (Galilei perdonaci), ma con conseguenze non banali sulle scelte operative quotidiane, in base alle quali ognuno di noi può evitare di correre rischi e di subire disagi, più o meno gravi.

Perché a forza di usare (nel senso più opportunista e meno onesto del verbo) la popolarità dell’informazione meteorologica – capace di riscuotere interesse vasto e trasversale come poco altro, addirittura più del calcio – come facile veicolo di audience (i media) e altrettanto sicura fonte di business pubblicitario (le realtà commerciali del web), si è da tempo consolidata l’abitudine (si veda anche questo bell’articolo del prof. Claudio Cassardo) di gonfiare in modo sensazionalistico qualsiasi evento in arrivo pur di far galoppare i contatori dei click e i rilevatori dell’auditel, spacciando ogni perturbazione alle porte come quella del secolo, ogni ciclone mediterraneo come uragano tropicale, ogni episodio di caldo o di freddo come caldo record o freddo record, ogni diminuzione delle temperature come gelo siberiano, ogni pioggia in arrivo come senza precedenti, nonché di bombardare i cittadini con valanghe di sciocchezze prive di fondamento scientifico (comprese le previsioni ora per ora chilometro per chilometro, o i presagi a 15 giorni di distanza  se non addirittura sulle stagioni a venire), il tutto accompagnato dall’artificio di condire articoli e servizi con termini demenziali, neologismi fuorvianti, grafiche pacchiane e nomignoli folcloristici (spesso sdoganati con l’alibi della “facilità di comunicazione” e del voler parlare “in modo che la gente capisca”, obiettivi peraltro nobili se perseguiti in modo serio, scientificamente corretto e intellettualmente onesto, senza nessun bisogno però di ricorrere a un linguaggio infarcito di banalità, concettualmente sbagliato e oltremodo cretino, che finisce per ottenere l’effetto opposto, dando un’idea assolutamente distorta della situazione prevista), e non ultimo – funziona sempre – di spargere superlativi assoluti come se non ci fosse un domani.

Risultato? Beh, i servizi, gli articoli e i siti con le previsioni del tempo sono effettivamente molto seguiti (e infatti i fatturati salgono, e l’audience pure), ma la gente è talmente abituata a ricevere informazioni gonfiate e confezionate come sopra, che le prende esattamente per quello che sono, ovvero per come sono state largamente propinate per anni, al solo scopo di accattivare l’attenzione del pubblico: come si guarda una pubblicità.

E quando voi guardate le inserzioni commerciali che vi magnificano le prestazioni di una automobile, le qualità di un detersivo o i vantaggi di una offerta telefonica, magari le seguite anche volentieri, perché propongono belle immagini, musiche accattivanti, coreografie di ballo magnetiche, sketch divertenti, attori e attrici piacenti, ambientazioni in scenari naturali mozzafiato, il tutto curato da registi spesso anche autorevoli, tutto quello che volete… ma non per questo credete a spada tratta a tutto ciò che si racconta in merito al prodotto reclamizzato, lo sapete perfettamente che è uno spot, sì certo dice che con quel piano tariffario ti fanno navigare alla velocità della luce, che il comfort alla guida di quella monovolume è un’esperienza mistica come neanche una giornata di massaggi alle terme, e che di quel detergente può bastare una sola goccia diluita in una quantità d’acqua pari al Mar Caspio… ma vai a sapere se è vero, è una pubblicità, dai, si sa che è tutto esagerato.
Ed ecco il risultato, sì certo le previsioni del tempo le avevo viste, ma“vai a sapere che fossero corrette”, vai a sapere che contenessero informazioni asciutte e concrete, e non gonfiate a sensazione come al solito.

E se tutto questo, con riferimento a quelle realtà commerciali che (tipicamente operando sul web e sui social) mettono in circolazione questo tipo di “notizie” meteorologiche, è già deontologicamente ed eticamente aberrante… che dire di tutte quelle testate giornalistiche (sia della carta stampata che del mondo televisivo, per non parlare del circuito dell’informazione online) che le rilanciano regolarmente urbi et orbi, mettendo l’obiettivo di catturare l’attenzione di lettori e telespettatori (troppo) al di sopra della correttezza d’informazione, e fornendo a quella valanga di sciocchezze pseudo-meteorologiche una patente di autorevolezza e ufficialità (“l’ha detto il TG”, “l’ho letto sul giornale”) capace di portare milioni di persone a considerarle effettiva espressione della comunità meteorologica nazionale, e non mero rumore commerciale?

Il punto cruciale risiede, per l’appunto, nella perversa e perfetta combinazione di intenti fra la smania di sensazionalismo di quella parte (decidete voi se e quanto maggioritaria) del mondo mediatico sempre a caccia di scoop o titoli ad effetto, e la malafede della fonte che confeziona loro la “notizia”, cioè quelle aziende per le quali la meteorologia è solo un prodotto da vendere al miglior offerente, e quindi sono ben disposte a confezionarlo ad uso e consumo di quella funzione distorta: una pessima abbinata, che è stata capace di ridurre l’informazione meteorologica a uno spot, o se preferite a specchietto per acchiappare l’attenzione, quel che una volta avrebbe fatto la fortuna degli strilloni di strada, edizione straordinaria edizione straordinaria, tutte le ultime notizie sulla perturbazione del millenniooooooooooooo… e ora, quando la meteorologia (quella vera, sia del mondo pubblico che della nicchia deontologicamente seria del mondo privato) prova a ragguagliare i cittadini sulle reali caratteristiche di un evento perturbato in arrivo, giustamente non viene presa sul serio.

Insomma, per dodici mesi all’anno, sugli schermi del colossal cinematografico più pirotecnico di tutti i tempi e sotto al tendone del baraccone più mirabolante nella storia del circo, fra i numeri acrobatici e gli effetti speciali del grande show prodotto dalla MetEo Goldwyn Mayer, ogni evento che l’atmosfera mandi in Terra è occasione per fare spettacolo, a caccia di click e di audience, laddove al posto di coriandoli, leoni, tigri, nani e ballerine volteggiano sciabolate artiche, fiammate africane, folate siberiane, apocalissi bianche, bollori infernali e bombe d’acqua. Tre palle un soldo tre palle un soldo, si vince sempre si vince sempre. Unica sconfitta, la credibilità e la serietà della Scienza meteorologica, e quindi anche quella dell’informazione che ne deriva.

Soluzioni?

E’ sicuramente ora (lo si dice da anni, ma in questo paese, come diceva – per restare in argomento pubblicitario – un vecchio spot televisivo, “quanto ci piace chiacchierare”) di mettere dei paletti legali (sissignore, con sanzioni pesantissime, anche sul piano penale) all’esercizio di questa professione, come del resto avviene senza remore in altri campi del sapere scientifico, ma temo che ormai anche i provvedimenti più drastici sarebbero solo dei palliativi. Difficile recuperare anni di distorsioni e confusioni, sono stati fatti troppi danni per tornare indietro, lo show della meteorologia 2.0 è ormai parte del grande bagaglio collettivo, e quel modo distorto di produrre e consumare informazione meteorologica (compresi i prodotti che sui nostri telefonini spacciano per “previsioni” delle elaborazioni automatiche, peraltro con dettaglio orario e alla scala del singolo comune o frazione di comune) è ormai un brand di successo, un marchio di fabbrica capace di far concorrenza a quelli delle più note bevande gassate o delle più famose merendine, capaci di radicarsi nel linguaggio comune con i loro slogan (e gli automatismi che essi innescano nei nostri comportamenti), probabilmente impossibili da scalzare dal nostro immaginario e dalle nostre abitudini con la mera introduzione di norme e regolamentazioni.

Ma proprio per questo, se c’è una strada da provare con convinzione (e dobbiamo tentare di percorrerla, non foss’altro per dovere etico e per amor di quel che è giusto), è proprio quella che corre sul piano della cultura di base. Agire a tappeto, a partire dai processi educativi, dagli spazi formativi e dai percorsi scolastici, e proseguendo con tutti i luoghi e i momenti di divulgazione e diffusione della cultura (magari andando noialtri a cercare il contatto con le persone, nei posti che queste frequentano, senza aspettare che siano loro a venire ai nostri convegni), per seminare e far germogliare il dubbio che la meteorologia non sia quella che ci spacciano come tale, che il modo corretto di utilizzare questa disciplina si trova fuori dalle luci di quel baraccone mediatico, che in nome del “parlare facile” si sono sentiti propinare una valanga di idiozie, che la Scienza – ebbene sì – è cosa diversa dalla pubblicità, che dal cercare quella trattata in modo serio c’è solo da guadagnarne, in termini di correttezza (e quindi di utilità) di informazione.

Perché se oggi qualche biscazziere del web (definizione coniata – proprio in riferimento a certi siti di meteorologia – da un uomo di Stato schietto e intelligente, la faccio indegnamente mia), con lo scopo di far soldi a colpi di click e di like, provasse a raccontare alla gente che Pericle era un fan di Napoleone Bonaparte, o che Dante Alighieri è il vero autore dei Promessi Sposi, sarebbe preso per quello che è, cioè nella migliore delle ipotesi bollato come un ciarlatano e/o un clamoroso ignorante, e probabilmente scapperebbe a cercare miglior fortuna in altri modi di truffare il prossimo… ma chi racconta analoghe sciocchezze nel campo meteorologico, vede i propri contatori di audience e di quattrini girare a manetta, come neanche la più gagliarda delle slot machine, e moltiplica ogni anno il proprio fatturato. E la differenza, a spiegare perché le idiozie del primo tipo non te le puoi permettere mentre sulle seconde ci puoi addirittura lucrare esponenzialmente, risiede semplicemente nel diverso livello della cultura di base in merito alle varie branche della conoscenza, e nella vastità delle lacune di base su cui i cropiers di cui sopra puntano a colpo sicuro, per le loro operazioni commerciali. E’ quindi su questo piano che dobbiamo prioritariamente agire, puntando a innalzare, in modo macroscopico, la cultura di massa sugli argomenti scientifici – meteorologia in primis – oggi oggetto di così sfrontato e disonesto sfruttamento commerciale.

E giacché Leonard Cohen (se era fonte di ispirazione per Fabrizio De André, direi che può esserlo anche per tutti noialtri) ci insegnava che “solo una crepa è quel che permette alla luce di entrare”, bisogna proprio che ne apriamo capillarmente più possibile, tutti i giorni, in tutti i contesti quotidiani, di fessure nel muro dell’ignoranza e di spaccature nella cinta della mercificazione mediatica. Magari, perché no, contando sulla collaborazione della parte sana (che non manca certamente) del mondo del giornalismo e dell’editoria, chiamandola a raccolta per quello che è il ruolo di responsabilità etica e di servizio che le compete. Ci vorranno decenni, i risultati verranno probabilmente dopo di noi, o forse non verranno mai, ma sarà stato comunque giusto, perbacco, averci provato.

@filippothiery

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