Comunicazione social in emergenza: il PaSocial Day a Milano

Lo scorso 6 giugno si è svolto in 17 città italiane il primo PaSocial Day, una giornata tutta dedicata alla nuova comunicazione pubblica. Anche TerremotoCentroItalia ha partecipato con Matteo Fortini che a Milano è intervenuto all’incontro “Dalla comunicazione quotidiana all’informazione in emergenza: i servizi pubblici sui social” (qui la videoregistrazione ). È stata un’importante occasione di confronto e abbiamo pensato di sintetizzare e condividere ciò che Matteo ha raccontato, così da tenerne traccia e continuare la riflessione.

Dal terremoto dell’Emilia a quello nel centro Italia

La mattina del 24 agosto 2016 mi ha subito riportato alla mente i ricordi che avevo del terremoto in Emilia del 2012. Quel terremoto ha segnato profondamente la comunicazione in emergenza via social: le prime notizie sulla scossa (avvenuta alle tre di notte) sono arrivate via Twitter, mentre tutto il resto taceva. I tweet seguivano uno dopo l’altro ma non esistevano account ufficiali da seguire, se non @INGVterremoti. Alcuni utenti hanno quindi acquisito una sorta di “leadership naturale” perché si erano distinti sui social per la capacità di condividere informazioni utili e corrette.

Uno scenario simile si è verificato nuovamente nell’agosto 2016, anche se rispetto al 2012 qualcosa era cambiato: i canali social di varie istituzioni offrivano informazioni ma erano parziali e frammentate. Mancava un’unica fonte autorevole a cui i cittadini potessero accedere per ricevere informazioni complete e certe. Ad esempio, rispetto ai comportamenti da tenere in caso di terremoto l’unica informazione un po’ strutturata che circolava erano le raccomandazioni della Croce Rossa.

Tuttavia quello schema contiene due raccomandazioni che lasciano perplessi:

  • “Evita di usare il telefono e l’automobile” (in tv veniva pubblicizzato il numero verde della Protezione Civile del Lazio, dicendo però di contattarlo soltanto in caso di effettiva necessità), un invito che, quando succedono simili eventi, contravviene al bisogno di sapere cosa sta accadendo intorno a noi e a chi vogliamo bene. In questi casi forte è il bisogno di contattare parenti e amici, anche solo per dare o ricevere un supporto morale. Quando c’è stato il terremoto a Cento, la mia città, è vero che le linee telefoniche erano inutilizzabili, però funzionava bene la rete internet anche cellulare.
  • “Raggiungi le aree di attesa individuate dal piano di emergenza comunale”: messaggio correttissimo, senonché purtroppo il piano di emergenza comunale è conosciuto da una piccola parte della popolazione e molto frequentemente le aree di attesa non sono segnalate come dovrebbero (e l’emergenza non è certo il momento più adatto per informarsi).

Ecco allora che la mattina del 24 agosto con Matteo Tempestini abbiamo deciso di attivare prima di tutto un gruppo Facebook dove far confluire le varie informazioni e quindi creare una serie di servizi informativi da veicolare attraverso il portale terremotocentroitalia.info che poi, grazie alla collaborazione con il progetto SIS.M.I.CO. di ActionAid, siamo riusciti a diffondere tra le popolazioni colpite dal terremoto.

Gli antefatti di TerremotocentroItalia

Con Matteo Tempestini avevamo affrontato il tema delle emergenze a partire da HackToscana 2014, dove cominciammo un ragionamento e un confronto anche con la Protezione Civile sulla possibilità di utilizzare strumenti informatici e coinvolgere la società civile, tenendo presenti soprattutto due elementi:

  • la responsabilità: la Protezione Civile è formalmente responsabile di quello che comunica, che ha sempre valenza di ufficialità. Un progetto gestito dalla società civile è autorizzato a porre clausole che pongono la responsabilità in capo all’utente, seppur cercando di guadagnarsi una autorevolezza molto forte sul campo.
  • la competenza: ci sono azioni che sono di esclusiva competenza della Protezione Civile e degli altri attori legati alla gestione delle emergenze (per esempio Croce Rossa) e che la società civile non può compiere.

Comunicazione digitale, comunicazione pubblica, comunicazione di emergenza

La nostra prima consapevolezza è stata questa: essere un servizio e dunque rispondere ad esigenze concrete, aggiustando il tiro in corsa se necessario. Come?

  • evitando di sviluppare nuove “app” o spazi in cui attirare le persone
  • cercando di sfruttare servizi e canali esistenti, perché permettono maggiore flessibilità e garantiscono maggiore continuità
  • mantenendo una linea open:
    • open data: tutti i dati di terremotocentroitalia.info sono condivisi da subito come open data, in modo che chiunque possa usarli;
    • open source: le tecnologie su cui ci siamo basati sono il più possibile open source, per permettere a tutti di contribuire senza problemi;
    • open collaboration: tutti possono contribuire al progetto nei modi e nei tempi che ritengono utili, in una sorta di “grande hackathon distribuita”.

Cosa abbiamo imparato

Spesso ricordo ai miei colleghi civic hacker che in molte occasioni la società civile è più “avanti” della Pa. Quando vengono creati strumenti innovativi e fatte proposte che abbracciano nuovissime tecnologie, è facile non essere compresi. Ciò non accade per malafede ma perché mancano mezzi e conoscenze adeguate. Spesso, infatti, nella pubblica amministrazione ci sono problemi legati alla:

  • impossibilità di acquisire personale competente: le professioni legate alla comunicazione digitale sono molto recenti. È quindi difficile che in organico ci siano persone esperte.
  • formazione: occorre formare le persone già all’interno dell’amministrazione. Questo richiede tempo e risorse.
  • motivazione: la comunicazione attraverso i nuovi media non è una questione considerata importante e condivisa da tutti. Basti pensare che ancora oggi il sito istituzionale di un ente è non di rado considerato un corpo estraneo, mentre dovrebbe essere un patrimonio (immateriale) di tutti, al pari delle bacheche negli uffici e dei manifesti
  • consapevolezza che tutto è comunicazione e ha bisogno di una strategia integrata: dagli sportelli al cittadino, alle email, ai comunicati stampa, ai social.

E poi c’è la burocrazia e la “normativa vigente”:

  • la Pubblica Amministrazione si basa su atti e procedimenti. Gli enti pubblici comunicano normalmente attraverso documenti protocollati. Tutto il mondo dei social, della messaggistica, dei servizi via app o web è attualmente un canale parallelo. Se la regola è “tutte le comunicazioni che potrebbero dare avvio a un procedimento vanno protocollate”, una segnalazione di un cittadino è quasi sempre fonte di un’azione da parte della PA e quindi andrebbe trattata in questo modo. Il sistema di protocollo della posta in ingresso e in uscita aggiunge però tutta una serie di complicazioni, implicazioni e responsabilità.
  • una Pubblica Amministrazione ha una serie di adempimenti che deve assolvere. Occorre quindi motivare le scelte su ciò che si fa, anche nell’ambito della comunicazione, e inserire queste azioni all’interno di procedimenti e regolamenti, così da evitare che siano legati all’amministrazione corrente.
  • comunicare la macchina burocratica ai cittadini, anche a quelli più attivi, crea grandi difficoltà e incomprensioni. Occorre quindi che la Pa compia un grande sforzo per rendere comprensibile ai cittadini tutto il processo a cui è sottoposto un atto o un servizio. Allo stesso tempo anche il cittadino deve imparare ad interloquire con la Pa e può farlo solo prendendo confidenza con linguaggi e procedure.

Rispetto alla comunicazione pubblica e in emergenza abbiamo imparato che:

  • è importante la multicanalità: non dobbiamo fissarci su un solo strumento, per quanto accattivante. Una sola app, un solo sito, un solo messaggio se guasti non raggiungono il cittadino nel momento importantissimo dell’emergenza.
  • Bisogna andare dove stanno i cittadini, andare dove i cittadini comunicano, che siano social, chat, ecc. L’impatto sarà tanto più grande ed efficace, quanto più riusciremo ad andare nelle “piazze”.
  • I canali informativi, qualunque essi siano, devono essere continuamente testati per assicurarsi che funzionino. No alle app che apriamo una volta all’anno e che magari non ci accorgiamo che non funzionavano più. Sì all’approccio delle allerte meteo, che vengono date anche quando la situazione è “verde”: in questo modo il cittadino riceve un messaggio tutti i giorni e sa di essere ‘collegato’.
  • Ci deve essere un commitment, un impegno forte nel proporre servizi o fornire dati (es. i feed delle allerte). Non è possibile avere servizi best effort nella comunicazione di emergenza. In caso contrario, sarà più facile che nel momento del bisogno si possa comunicare su un social network o su un altro servizio gestito da “grandi aziende”, che hanno ovviamente interesse economico ad essere sempre attive. Questo è un elemento che può essere sfruttato.
  • Le norme: dobbiamo sapere cosa possiamo usare ed eventualmente lavorare per modificare le leggi e migliorare la comunicazione in emergenza. Abbiamo discusso a Milano e non solo, se la comunicazione social sia o meno “servizio pubblico”,  due piccole parole che comportano tante implicazioni per chi lavora in una Pa. Questa necessità vale anche per l’uso o la produzione di open data.

Infine una piccola riflessione sul tema servizi. Nel campo delle segnalazioni dei cittadini sono almeno due le tipologie di servizio che può offrire una Pa ed ognuna implica un diverso rapporto tra pubblica amministrazione e cittadino:

  • sistemi di ticketing, dove si considera il cittadino un utente che fa segnalazioni a cui dare risposta;
  • sistemi di customer relationship management, dove si considera ogni cittadino un utente che può segnalare, ma anche a cui possiamo chiedere valutazioni, commenti, coinvolgere in campagne di marketing.

Ogni tipologia prevede non solo diverse modalità di erogazione e fruizione ma anche un diverso modo di organizzare il lavoro dentro la Pa. Come integrare queste tipologie di servizi tra loro e come renderli fruibili attraverso la comunicazione digitale è una delle grandi sfide della pubblica amministrazione.

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