21 settembre 2003: “Un’assicurazione anti-calamità. Ecco il progetto del governo”.
30 ottobre 2018: “Maltempo: Borrelli, un’assicurazione danni”.
Di assicurazione (obbligatoria) per i possibili danni derivanti da calamità naturali se ne parla da anni e anni e anni. Perché non si è ancora giunti a un punto di sintesi? Ovviamente io non lo so, ma ho pensato di scomporre il “problema” considerando i tre principali soggetti: i cittadini, le compagnie di assicurazione, lo Stato.
Noi cittadini che, si è spesso detto in questi anni, abbiamo altre priorità e potremmo vivere l’eventuale assicurazione annuale obbligatoria come una nuova tassa sulla casa.
Le compagnie di assicurazione che, per “vocazione imprenditoriale”, devono necessariamente calcolare la sostenibilità delle coperture. Considerando che dovrebbero assicurare edifici costruiti in zone sismiche, in territori alluvionabili, esposti a fenomeni sempre più imprevedibili, frequenti e devastanti come le trombe d’aria.
Lo Stato, che dovrebbe essere una sorta di “garante”.
Bene, tornerei al punto di vista delle assicurazioni, che mi pare imprescindibile.
«Il 78% delle case in Italia è esposto ad un rischio medio-alto, anche a causa dei cambiamenti climatici, ma solo il 2% è assicurato. Ogni anno riparare i danni ci costa 3 miliardi. Occorrerebbe una gestione ex ante del rischio». Lo diceva poco più di quattro mesi fa Maria Bianca Farina, Presidente dell’Associazione Nazionale fra le Imprese Assicuratrici (ANIA) a un convegno dal titolo “Obiettivo protezione – le nuove prospettive dell’assicurazione”. Che aggiungeva: «Più in generale, prima c’era un welfare molto presente, oggi non ci si rende conto che le finanze pubbliche non possono espandersi anche se i bisogni crescono. Ci sono rischi che restano gli stessi ma si stanno ingigantendo in termini di ampiezza».
E ora andrei allo Stato, prendendo parti dell’articolo 28 del nuovo Codice della protezione civile, articolo titolato “disciplina delle misure da adottare per rimuovere gli ostacoli alla ripresa delle normali condizioni di vita nelle aree colpite da eventi calamitosi”.
Al fine di dare avvio all’attuazione delle prime misure per fare fronte ai danni occorsi al patrimonio pubblico, privato ed alle attività economiche e produttive (…) con apposite deliberazioni del Consiglio dei ministri (…) si provvede all’individuazione delle modalità di concessione di agevolazioni, contribuiti e forme di ristoro in favore dei soggetti pubblici, privati e attività economiche e produttive, danneggiati nel rispetto dei seguenti criteri e nei limiti delle risorse disponibili allo scopo a legislazione vigente: (…) per i danni subiti dai soggetti privati e dalle attività economiche e produttive, in tutto o in parte indennizzati da compagnie assicuratrici, previsione che la corresponsione degli eventuali contributi pubblici per la delocalizzazione temporanea in altra località del territorio nazionale, per la ricostruzione, la riparazione o il ripristino dei danni abbia luogo solo fino alla concorrenza dell’eventuale differenza, prevedendo, in tal caso, che il contributo così determinato sia integrato con un’ulteriore somma pari ai premi assicurativi versati dai soggetti danneggiati nel quinquennio antecedente la data dell’evento.
Arriviamo quindi a noi cittadini, per provare a dirci come stanno le cose, magari in un italiano semplice. Come sempre, se vogliamo fare un passo avanti e non trovarci tra altri 15 anni a leggere gli stessi pezzi e articoli di 15 anni fa, dobbiamo compiere una scelta.
Mi pare evidente che ci stiano dicendo – ANIA e Stato, in modo più o meno esplicito – che soldi pubblici per sostituire l’assicurazione e ripagare tutti i danni che potremmo subire (e già subiamo) non ce ne sono, non ce ne sono da anni e guardando avanti ce ne saranno sempre meno.
Per tenere i prezzi “accettabili”, mi verrebbe da pensare, le imprese assicuratrici avrebbero bisogno che una eventuale polizza sia estesa al maggior numero possibile di abitazioni o costruzioni, per fare “massa critica”. Da qui il concetto dell’assicurazione obbligatoria per tutti (perché, in qualche modo, tutti siamo potenzialmente esposti ai rischi).
Se non ci fosse il contributo da parte di tutti, le assicurazioni – che pensano al momento nel quale, avvenuto l’evento calamitoso, dovranno sostenere il carico del rimborso – continuerebbero a calcolare il premio, come fanno oggi, sul singolo. E, immagino, chiederanno premi sempre più elevati a coloro che hanno case o edifici maggiormente esposte ai rischi. Ovvero a coloro che più di altri potrebbero avere necessità di una copertura assicurativa.
Quindi, in qualche modo, la scelta sta a noi. O continuiamo, ognuno per proprio conto, in base alle disponibilità economiche e in base a dove sono costruite le nostre case a farci una assicurazione in modo autonomo (chi se lo può permettere).
Oppure ci accordiamo per dire a chi ci amministra che accettiamo di pagare tutti un pezzetto di un’assicurazione obbligatoria complessiva (però poi dobbiamo davvero pagarla), in modo da avere certezza che, se mai capiterà a noi, non saremo scoperti.
E non ci saranno i cosiddetti “cittadini di serie A e di serie B (o anche C)”.
Questione di scelte, di politica (nell’accezione alta del termine) e di atti conseguenti. Come sempre.
@francimaf