E se continuasse a bastare una telefonata?

Oggi sono due anni dal 26 ottobre 2016. Nell’infinita serie di scosse che dal 24 agosto di quell’anno hanno colpito i territori del Centro Italia, questa è sicuramente una di quelle date difficili da dimenticare. Ciò che successe quella serata mi è tornato in mente l’altro giorno, in occasione di un corso di formazione per noi giornalisti dedicato a come sta cambiando il lavoro degli e negli uffici stampa.

È sera in quel 26 ottobre, poco dopo le 19, quando un terremoto di magnitudo 5.4 torna a scuotere quelle regioni. Poi arriva la scossa di 5.9 due ore dopo, seguita da una di 4.6. La struttura di coordinamento del sistema di protezione civile (la “famosa” Di.Coma.C) è attiva da mesi a Rieti, così come sui territori lavorano le strutture regionali e quelle comunali. Le verifiche con i soccorritori sul posto partono immediatamente. C’è, come sempre, tensione, si corre, il tempo per accertare e verificare le informazioni sembra infinito. Ma, fatti tutti i passaggi che sono indispensabili, fortunatamente, si esclude il coinvolgimento di persone. E questo si comunica.

Nel flusso di agenzie, però, ci finisce un take che parla non solo di persone coinvolte, ma addirittura di vittime. Un take che, vista anche l’ora, rimbalza nelle aperture dei principali telegiornali nazionali. Il direttore di quell’agenzia, nel massimo della correttezza e trasparenza, un paio di giorni dopo racconta quanto accadde, segnalando cosa era mancato.

Perché mi è venuto in mente questo episodio? Perché, riflettendo sul lavoro dei giornalisti, negli uffici stampa e nelle redazioni, sono sempre più convita che ciò che ci potrà “salvare” come informazione di qualità e credibile, resta la combinazione di due “semplici” elementi: le persone e il telefono. In quel caso di due anni fa sarebbe bastata – come sempre avvenuto – una telefonata con la fonte istituzionale per accertare i fatti. Fonte che, ovviamente, deve rispondere e stare sul pezzo.

Non sembra tutto potenzialmente semplice?

@franci_maf

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