Grazie Zamberletti, l’innovatore della tradizione


“Mi raccomando, ci vediamo al lago”. Giuseppe Zamberletti lo ricorderò per sempre anche per quest’ultima frase di poche settimane fa. Nonostante tutto, con quel sorriso sul volto che era quello che mostrava quando parlava di protezione civile. Quando raccontava uno dei suoi tanti aneddoti che lo legheranno per sempre a questo straordinario sistema che lui ha creato.

Gli occhi che parlavano insieme alle parole. Che in alcune circostanze sembravano dirti “ma è così semplice, perché tanto stupore?” quando ripercorreva la sua vita che è anche quella della nostra protezione civile. Perché per noi è tutto straordinariamente geniale, mentre lui lo rendeva straordinariamente naturale. Partendo sempre dai fatti, dalla realtà. Come, forse, dovrebbe essere per funzionare davvero.
Partendo dalla realtà e innovando, di volta in volta, senza tradire mai la tradizione, senza gettare il passato e gli insegnamenti che quest’ultimo ci ha consegnato. Sapendo che l’esperienza, propria e degli altri, è troppo importante per essere ignorata, anche se ogni situazione è necessariamente nuova rispetto al passato.

In Friuli – racconta in questo video-racconto realizzato dalla Protezione civile del Trentino – “quando dopo il terremoto di settembre si trattò di decidere come operare, il mio obiettivo era quello di mandare sulla costa coloro che non erano impegnati nelle attività produttive, concentrandoli comune per comune, a Grado, Jesolo, Bibione. Quelli che lavoravano non potevano andare al mare e allora ho requisito 20.000 roulotte. Una operazione che provocò anche qualche polemica nel governo perché mi dicevano: perché non le comperi?. Ma il ministro Ossola, ministro del Tesoro, mi aveva detto: Zamberletti, non fare mancare niente ma mi raccomando, siamo alla canna del gas. L’idea di acquistare roulotte per cinque mesi, mentre facevamo le case prefabbricate, mi sembrava una spesa aggiuntiva per un periodo di tempo relativamente breve. I prefetti requisirono le roulotte, le portammo sul territorio e alla fine, il 31 marzo come mi ero impegnato, riportammo tutte le roulotte sul campo di aviazione di Campoformido, dove venivano restituite. Non solo non c’erano stati danni, ma in quasi tutte le roulotte c’era un mazzo di fiori che la famiglia aveva messo. Un grande esempio di civiltà e senso di responsabilità”.

È dalla cruda realtà del post terremoto del 1976 che nasce il SUO, e oggi nostro, insostituibile volontariato organizzato di protezione civile. “In Friuli abbiamo verificato la grande generosità delle persone che veniva ad aiutare, ma c’era un problema: non erano organizzati. E non essendo organizzati ci creavano più problemi di quelli che potevano risolvere. Io capii lì che l’Italia doveva dotarsi di una organizzazione capillare sul territorio di corpi organizzati di volontari. Spingere i cittadini a organizzarsi permanentemente per poter dare un contributo avendo insieme l’esperienza di squadra e quindi essendo anche in grado di dimostrare al sistema organizzato della protezione civile quali erano le loro specificità”.

Oggi lo diamo per scontato, ma all’epoca fu un’intuizione geniale che, però, nel 1980, nel terremoto in Irpinia, era ancora un’idea astratta.
È sempre Zamberletti a raccontarlo. “Il peggiore fu il terremoto in Irpinia. Ricordo quando chiamai il ministro dell’interno, all’epoca era Virginio Rognoni, e gli dissi “mi servono 3.000 bare”. Mentre in Friuli noi avevamo “seduto sul territorio” il grosso del nostro esercito, in Irpinia non avevamo forze e non avevamo la capacità di far scattare rapidissimamente una mobilitazione generale facendo convergere, soprattutto dal nord Italia, le considerevoli forze dei vigili del fuoco e delle forze armate sul territorio. In Irpinia il Commissario (che fu proprio Zamberletti) fu nominato 24 ore dopo. Stare senza coordinamento delle operazioni per 24-48 ore è una cosa terribile per i risultati“.

Fu dopo il terremoto dell’Irpinia che iniziò a concretizzarsi ciò che Zamberletti ipotizzò in Friuli. “Nell’estate del 1982 il Presidente della Repubblica Pertini si impose e nominò un ministro per il coordinamento della protezione civile nel governo Spadolini”. Che fu, anche se per poco, proprio Giuseppe Zamberletti.

Sono passati quasi 43 anni dai terremoti friulani, da quando quel guizzo intuitivo dell’impareggiabile onorevole Zamberletti cambiò per sempre la storia del Paese. Sono passati quasi 43 anni ma ciò che non tramontava era la sua passione per la protezione civile. I problemi, che esistono, li metteva sempre bene a fuoco. Così come i pilastri fondamentali.

“Il problema è fare entrare nel sistema di emergenza il reinsediamento della popolazione, cosa che abbiamo fatto in Friuli e in Irpinia. Quando c’è una grande emergenza bisogna nominare un Commissario, ma i sindaci devono restare in tutte le fasi i protagonisti delle operazioni. La seconda fase dell’emergenza per certi aspetti è ancora la più delicata: far sì che la popolazione si attrezzi, bene, a resistere, a lavorare un decennio come minimo per il tempo necessario alla ricostruzione dopo un grande terremoto”.

Ciò che ha sempre saputo, Zamberletti, è che senza la collaborazione dei cittadini poco avrebbe potuto fare. E poco si potrà fare in futuro.
“I modelli comportamentali possono salvare le vite. Soprattutto l’esercitazione non riguarda i soccorritori, ma riguarda i cittadini che si trovano di fronte al tema dell’evento e devono sapere come si devono comportare”.

Ministro, speriamo di non averla fatta sgolare per nulla. A noi tutti dimostrare l’affetto finora dimostrato a parole con i fatti. E Grazie di tutto.

@francimaf

Un commento

  1. Brava Francesca, riflessioni sulla Protezione Civile competenti, scritte con chiarezza e affetto. Og gi in particolare ci dai un segno di speranza e di continuità essendo tu nata negli stessi anni in cui è nata la Protezione Civile. Quale segno migliore potevamo dare oggi a Zamberletti ?

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