«Un giorno morirai come tutti gli altri» #justicepournaomi

 Justice pour Naomi Musenga

Ce qui se conçoit bien s’énonce clairement (Nicolas Boileau)

Strasburgo (Francia), 29 dicembre 2017.

A distanza di qualche mese, emerge il caso di  Naomi Musenga, una donna di 22 anni che ha chiesto aiuto a SAMU (Service d’Aide Médicale Urgente), il soccorso sanitario francese. È morta cinque ore più tardi.

La ricostruzione finora offerta, in attesa della conclusione delle attività giudiziarie, racconta una vicenda da incubo della quale nessuno vorrebbe essere protagonista.

Giudicare ed emettere sentenze non spetta a nessuno di noi, tranne che al sistema di giustizia francese. Innescare polemiche non ha alcun senso. Far emergere le lezioni che possiamo imparare da questa vicenda dolorosa è un esercizio che, nel mio piccolo, vuole onorare Naomi.

Cosa è successo la notte del 29 dicembre 2017?

Le registrazioni delle conversazioni telefoniche ci raccontano che Naomi, in preda a forti dolori, ha chiamato il numero di emergenza sanitaria 15, gestito da SAMU, intorno alle undici del mattino. L’operatrice che ha risposto alla sua chiamata non ha riconosciuto la gravità della situazione, non ha inviato alcun mezzo di soccorso e ha concluso la telefonata dicendo a Naomi di chiamare  SOS-Médecins, ovvero il servizio di assistenza sanitaria non urgente (simile al nostrano servizio di continuità assistenziale o guardia medica). Sarà SOS-Médecins a richiedere, qualche ora dopo, l’intervento di un’ambulanza di SAMU. Purtroppo, la situazione era deteriorata a tal punto che, alle ore 17:30, è stato constatato il decesso di Naomi presso l’Ospedale Civile di Strasburgo.

Causa del decesso? Défaillance multi-viscérale. Il rapporto medico-legale redatto in seguito all’autopsia non specifica l’origine di tale insufficienza multiorganica.

Questo, in breve, lo svolgimento dei fatti. Ascoltare la registrazione della telefonata è per stomaci forti, ognuno può liberamente costruire la propria opinione.

In Francia il dibattito che ruota attorno a questa vicenda è infuocato. I temi maggiormente discussi, che spaziano dall’organizzazione del sistema di soccorso francese, passando per il numero unico di emergenza 112, le condizioni di lavoro degli operatori (AMR, Assistants de régulation médicale) in servizio presso le Centrali e la loro formazione.

Benjamin Griveaux, portavoce del Governo francese, nel corso di una conferenza stampa ha dichiarato che “Ce n’est évidemment pas notre conception du service public”, che è stata aperta un’indagine interna e che la vicenda ha portato all’avvio del progetto di riforma del sistema di soccorso sanitario e assistenza medica.

Nel dolore profondo della vicenda che ha visto coinvolta la loro figlia ventiduenne, i familiari di Naomi (che hanno sporto denuncia) hanno pubblicamente dichiarato che non intendono fare dell’operatrice un capro espiatorio e hanno lanciato un appello alla non violenza, in seguito alle chiamate minatorie ricevute da SAMU nei giorni scorsi.

Un articolo di Le Parisienne riporta una dichiarazione dell’avvocato dell’operatrice, secondo il quale «quando si ricevono, in media, duemila chiamate al giorno e vi viene riferito un mal di pancia, il primo pensiero non è quello di un’urgenza assoluta», pur ribadendo che «questa non è una giustificazione per quanto è accaduto».

EENA_naomi_112La vicenda è ancora aperta e i risvolti di natura giudiziaria e politica meritano di essere attentamente osservati. Dall’osservazione neutrale (per quanto possibile) della vicenda emerge un sistema di emergenza che fatica a tenere il passo rispetto alla mole di lavoro: attribuire tutta la “colpa” all’operatrice è facile. Ripensare a come ripensare il sistema di emergenza, anche nel nostro paese, mette in discussione il comodo e pericolo principio del “abbiamo sempre fatto così”.

Possiamo fare di meglio? Sì, senza ombra di dubbio. Le recenti polemiche innescate dalle dichiarazioni di Mario Balzanelli, Presidente di SIS118, le notizie poco rassicuranti rispetto all’NHS britannico, unite a problemi simili riscontrati in tutta Europa (e non solo), accendono i riflettori sulla necessità di apportare dei cambiamenti, che non coinvolgono solo le persone che lavorano nei servizi di emergenza, ma anche ogni cittadino. È normale che circa la metà delle chiamate ricevute in Italia dal NUE 112 (ove attivo) non siano chiamate di emergenza?

Cosa ne pensate? Come possiamo ripensare un sistema di risposta alle emergenze adeguato al mondo contemporaneo?

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