Rischio, emergenza e comunicazione: un caso di dissonanza cognitiva?

Non lasciatevi ingannare: alla fine del post, tutto risuonerà magnificamente.

1024px-Gandhi_in_Bihar_after_the_1934_Nepal–Bihar_earthquake scanned by Yan wikipedia

Gandhi a Bihar in seguito al terremoto del 1934 [Fonte: Wikipedia]

La teoria della dissonanza cognitiva affonda le proprie radici nel terremoto che, il 15 gennaio 1934, colpì la provincia di Bihar (India) ed il Nepal.

Dal punto di vista della comunicazione, il paper di Eleonor Marcussen intitolato Explaining the 1934 Bihar-Nepal Earthquake: The Role of Science, Astrology, and “Rumours”  descrive il ruolo dell’astrologia, della diffusione di rumors e del panico che avviluppò le persone.

Nell’arco narrativo della storia che racconteremo oggi, questo evento catastrofico è stato il momento-zero nello studio della dissonanza cognitiva da parte di Leon Festinger, . Il lavoro di raccolta e analisi dei dati nelle province vicine (pertanto non coinvolte direttamente dal terremoto) ha permesso di dare vita ad uno dei testi fondamentali della psicologia sociale, A Theory of Cognitive Dissonance (link all’edizione italiana del volume).

Per quale motivo, in un contesto del genere, nelle aree limitrofe e risparmiate dalla devastazione del terremoto, nascevano e si moltiplicavano in modo incontrollato notizie e informazioni che alimentavano il clima di paura rispetto a prossime catastrofi ben peggiori?

Perché servivano per giustificare la paura.

Le linee fondamentali della teoria furono già descritte da Esopo, intorno al 600 a.c., nella celebre favola La volpe e l’uva: 

Una volpe che aveva fame, come vide su una vite dei grappoli sospesi, volle impadronirsene ma non poteva.
Allontanandosi disse fra sé: “Sono acerbi”. Così anche alcuni uomini, non potendo raggiungere i propri scopi per inettitudine, accusano le circostanze.

Nel caso della volpe, la dissonanza riguarda lo squalificare l’incapacità di raggiungere l’uva (“sono acerbi”) rispetto alla fame. Nel caso delle popolazioni limitrofe all’area colpita dal terremoto, la dissonanza riguarda ciò che le persone avevano di fronte agli occhi (non avevano subito la devastazione del terremoto) rispetto alla paura che avvertivano, seppure non giustificata da ciò che vedevano.

In breve, mi perdoneranno i lettori più esperti in materia, in ognuno di noi, di fronte ad una dissonanza, esiste una pressione che tende a ridurla tanto più forte è la dissonanza.

Il comportamento delle organizzazioni non segue un percorso differente. Negli ultimi anni il termine resilienza è stato abusato in tutti i modi possibili e immaginabili. La prima volta che mi sono imbattuto nel vocabolo resilienza è stato durante le scuole superiori. La resilienza era una (delle tante) formule matematiche con le quali mi dovevo confrontare (spesso perdendo miseramente):

{\displaystyle E_{R}={\frac {\sigma _{y}^{2}}{2E}}={\frac {1}{2}}\sigma _{y}\varepsilon _{y}}

Tutto questo per descrivere un concetto tutto sommato semplice: la resilienza è la proprietà dei materiali di resistere agli urti senza spezzarsi, rappresentata dal rapporto tra il lavoro necessario per rompere una barretta di un materiale e la sezione della barretta stessa.

L’etimologia di resilienza potrebbe essere oggetto di un futuro post, quello che conta adesso è la diffusione del concetto di resilienza in ambiti differenti: informatica, psicologia, biologia ed il risk management.

Qual’è il legame tra dissonanza cognitiva e resilienza?

Un punto di partenza per articolare una risposta è il Quaderno di Ricerca INAIL n.14, pubblicato nel settembre 2017, nel quale viene descritto il processo ciclico della resilienza nelle sue cinque fasi :

mindfulness: capacità di notare segnali deboli ed intuire i potenziali pericoli; 

sharing: capacità di comunicare le nuove informazioni; 

coping: capacità di gestire i segnali deboli, prima che si trasformino in segnali forti e portino ad eventi avversi;

implementing: capacità di trasformare le decisioni in azioni, di gestire il cambiamento a tutti i livelli del sistema; 

anchoring: capacità di adattare e metabolizzare il cambiamento, inserendolo all’interno di pratiche e strutture preesistenti a livello di individui, gruppi e organizzazione.

Se durante la prima fase un individuo diviene consapevole di un potenziale pericolo, nella fase di sharing (condivisione) tale informazione viene condivisa all’interno dell’organizzazione. Se quella persona fosse l’unica ad avere colto quel potenziale pericolo, che mette in discussione le certezze e le consuetudini in uso, le altre persone potrebbero essere in difficoltà nel mettere in discussione la propria visione, le proprie certezze e le proprie abitudini.

Il cambiamento, la fatica di riconoscere e risolvere un problema, fanno paura.

Qui, la dissonanza cognitiva emerge con forza. Affrontare tale dilemma è una scelta, sia personale sia dell’organizzazione alla quale apparteniamo.

Il filo conduttore di tutto questo arco narrativo è la comunicazione. Il concetto di dissociazione cognitiva ha il pregio di mettere davanti a noi i limiti personali e organizzativi con i quali viviamo, offrendo la possibilità di scegliere se accettare passivamente l’idea della fatalità (vedi l’astrologia) oppure reagire in modo consapevole per affrontare la paura, i potenziali pericoli e le avversità che si dovessero presentare.

Ciò che accade nello scorrimento ordinario delle nostre vite, assume toni estremi nelle situazioni di crisi: accade che, spesso, le persone e le organizzazioni non sono all’altezza di confrontarsi con il cambiamento. Più semplicemente, non sono preparate per affrontare ciò che emerge e cambia radicalmente quello che era ritenuto eterno.

Una scelta di campo che è influenzata dalla cultura che scegliamo, consapevolmente, di abbracciare. E l’organizzazione nella quale abbiamo scelto di essere una parte attiva? Il ruolo o la tipologia di organizzazione non fanno alcuna differenza. Abbiamo il coraggio di mettere in discussione l’allineamento tra i nostri valori e quelli dell’organizzazione che abbiamo scelto?

Io scelgo ogni giorno. E tu?

 

Approfondimenti

[ENG] Fatality rates of the M w 8.2, 1934, Bihar–Nepal earthquake and comparison with the April 2015 Gorkha earthquake, Soma Nath Sapkota, Laurent Bollinger, Frédéric Perrier, 2016.

[ENG] Slip Distribution of 15th January 1934 Bihar-Nepal earthquake (Mw 8.1), Keshav Kumar Sharma,Kumar Pallav, S. K. Duggal,Lav Joshi, 2016.

[ITA] Promuovere la sicurezza nelle organizzazioni attraverso manager resilienti, Patrizia Agnello, Fabrizio Bracco, Camille Brunel, Michele Masini, Tommaso Francesco Piccinno, Amel Sedaoui, Dounia Tazi, 2017.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *