La morte di Simon Gautier è una vergogna nazionale?

I soccorritori del CNSAS trasportano la salma di Simon Gautier da poco recpuerata per consegnarla alle autorità giudiziarie.

Simon Gautier è morto da un mese e mezzo. Come uscire dal fallimento geolocalizzato del sistema?

Cosa è successo?

Il 9 agosto 2019, nel corso di un’escursione in Cilento, Simon Gautier è caduto in un burrone. A causa delle gravi lesioni riportate, ha chiamato il 112* per chiedere aiuto. Hanno risposto la stazione dei Carabinieri di Lagonegro (Basilicata), che hanno trasferito la chiamata al 118* di Potenza (Basilicata). L’operatrice comprende che Simon si trova in Campania. Si mette in moto la macchina dei soccorsi, per trovare un ago in un pagliaio.

Simon è stato ritrovato cadavere il 20 agosto 2019.

Il Corriere della Sera ha ricostruito gli eventi di questi giorni in questo articolo.

*Regione Basilicata e Regione Campania non hanno ancora attivato il Numero Unico di Emergenza 112.

 

Cosa è andato storto?

Simon era da solo, non aveva compagni di viaggio al suo fianco, pare fuori dai sentieri tracciati e, molto probabilmente, lontano dalla vista di altri escursionisti. Pare che nessuno fosse a conoscenza del suo itinerario, se non la madre.

Nonostante le gravi lesioni riportate, è riuscito a contattare il servizio di emergenza.

Il resto è storia.

 

Filosofia dell’architettura dei sistemi di comunicazione d’emergenza

Costruire un sistema di comunicazione per i servizi di emergenza efficace e affidabile (ovvero in grado di funzionare nonostante l’emergenza in atto) è un’azione che poggia su due capisaldi: semplicità e ridondanza.

Questi sono i due concetti chiave che discuto con i miei studenti nella lezione intitolata, appunto, filosofia dell’architettura dei sistemi di comunicazione d’emergenza.

Quando semplicità e ridondanza non sono by design, il fallimento è assicurato.

In un sistema complesso e disomogeneo come quello italiano (ma non solo), renitente ai cambiamenti e alle innovazioni, la strada sarà ancora molto, molto lunga.

Gli esterofili possono risparmiare fiato, la Francia condivide il nostro fardello.

Approfondiamo i concetti di semplicità e ridondanza applicati alla comunicazione d’emergenza.

Semplicità significa che l’accesso ai servizi di emergenza da parte del cittadino non deve richiedere alcun tipo di ragionamento, deve essere un riflesso: chiamo il numero per le emergenza, che nell’Unione Europea è il 1-1-2.

Per rendere facile l’intervento dei servizi di emergenza, ci sono alcune informazioni fondamentali che devono essere raccolte, in particolare la localizzazione dell’evento [dove è successo] e la natura dell’emergenza [cosa è successo? che tipo di aiuto occorre? forze dell’ordine? Vigili del Fuoco? Soccorso sanitario?].

Se vi è mai capitato di chiamare il 9-9-9 (o 1-1-2) nel Regno Unito, sarete stati accolti da un operatore di British Telecom (si, nel Regno Unito il PSAP 1, la centrale di primo livello che raccoglie le chiamate di emergenza, è gestita da British Telecom con operatori laici) che vi avrà chiesto:

Emergency, which service do you require? Fire, Police or Ambulance?

A tutto ciò, occorre aggiungere la necessità di comprendersi tra chi chiama e chi risponde, ovvero parlare la stessa lingua. Chi chiama potrebbe essere una persona che non parla italiano. Potrebbe essere una persona che non è in grado di parlare perché muta o perché momentaneamente impossibilitata. Quante delle nostre Centrali sono dispongono di un servizio di traduzione simultanea? Quante sono in grado di scambiare messaggi di testo?

E poi, la ridondanza. Quali misure di backup sono previste nel caso non fosse più disponibile la modalità di comunicazione canonica?

Chi ha esperienza di soccorso, comprenderà immediatamente il punto: mi trovo in un’area senza copertura telefonica, perciò il cellulare è inutile. Ho la necessità di comunicare con la mia Centrale oppure con altri operatori impegnati sul campo. Come mi comporto? Ho a disposizione una radio? So come accenderla? Qualcuno starà ascoltando dall’altra parte?  Esiste una procedura?

Ridondanza significa avere un piano B, un piano C ed, eventualmente, un piano D e sapere quando e come metterlo in pratica.

 

La tre voragini del sistema di emergenza

Osservando l’organizzazione del sistema di emergenza “ordinaria” sulla carta, l’Italia appare ben posizionata. Personale addestrato, centrali operative, mezzi di ogni genere, tecnologie avanzate, un grande cuore. Tutti bravissimi.

Nel 2019, sono serviti dieci giorni per ritrovare il cadavere di Simon.

Bravissimi?

Io non credo. Credo nella necessità di rivedere umilmente le fondamenta e i meccanismi di funzionamento del sistema di emergenza. Coinvolgendo attivamente i cittadini, che spesso sono il primo anello (eventualmente anche il secondo e il terzo) della catena dei soccorsi (se avete frequentato un corso BLS, sapete di cosa sto parlando; se non lo sapete, iscrivetevi dopo aver finito di leggere questo post).

Credo che facendoci guidare da semplicità e ridondanza, potremo ottenere un risultato migliore. Non perfetto, ma sicuramente migliore.

Le tre voragini che ci affliggono sono di tre tipi: culturale, organizzativo e tecnologico. Esploriamole, insieme.

 

#1 Il gap culturale

Siamo preparati ad affrontare le emergenze?

Più semplicemente, siamo preparati ad affrontare una escursione?

In quale fase della nostra vita veniamo preparati a prevenire ed eventualmente affrontare le piccole e grandi emergenze? A scuola? In famiglia?

Prendiamo, ad esempio, le escursioni in montagna, in collina oppure sulla magnifica costa del Cilento. Nella sua riflessione, Luca Calzolari cita il report 2018 del Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico per descriverne l’eccellente competenza e capacità di intervento. Nel report ci sono due aspetti di carattere culturale che meritano di essere citati:

  1. Le cause degli incidenti sono dovute a cadute/scivolate per il 47,3%, seguono gli infortuni e gli interventi necessari per perdita dell’orientamento, incapacità, ritardo, sfinimento, maltempo per il  25,7%
  2. L’attività regina degli incidenti è l’escursionismo, che ha totalizzato il 40,4% delle richieste di soccorso giunte al 112 (118 nelle regioni che ancora non hanno adottato il NUE112).

Per contestualizzare i due punti, toccheremo l’estremo dello SkyWay del Monte Bianco. Ad esempio, ricordate il ventiquattrenne finito in un crepaccio nell’ottobre 2018? Oppure gli innumerevoli articoli di cronaca relativi a escursioni finite tragicamente (o quasi)?

Per fissare meglio il concetto, guardate il video tutorial pubblicato dalla Fondazione Montagna Sicura, che rappresenta perfettamente il problema culturale (o di analfabetismo funzionale?) che non stiamo risolvendo.

Tornando all’emergenza, il prezzo della mancanza di preparazione a fronteggiare gli imprevisti può essere estremo. Anche una banale gita può trasformarsi in un’emergenza se non poniamo attenzione a ciò che stiamo facendo, a ciò che portiamo con noi, a dove mettiamo i piedi.

Perché non consideriamo più seriamente la fase di preparazione (non solo alle emergenze)?

 

#2 Il gap organizzativo

L’organizzazione del sistema di emergenza è un groviglio difficile da districare. In Italia, l’apparato di soccorso è costituito da una pluralità di enti che sono incaricati di gestire un aspetto specifico dei soccorsi secondo le proprie competenze (non entrerò nel dettaglio delle sovrapposizioni, che meriterebbero un post dedicato).

Dal punto di vista dell’organizzazione, si tratta di amalgamare differenti anime (con diversi ordinamenti, procedure, linguaggi, sistemi di comunicazione, …) in modo da poter fornire il miglior servizio possibile all’utente finale, ovvero a chi ha richiesto aiuto.

Assumiamo il punto di vista della persona che ha necessità di richiedere soccorso: meglio un numero unico oppure una pluralità di numeri di emergenza? Cosa è più facile ricordare? E se fosse uno straniero a fare la chiamata? Se può avere senso avere una app per ogni cosa, non riesco a vedere l’utilità di avere un numero differente per ogni tipo di emergenza. È un’emergenza! Non ho tempo di mettermi adeguarmi alla complessità di un sistema pensato per soddisfare l’amministrazione e non il chi ha bisogno!

Perciò, un numero di emergenza unico che raccoglie le chiamate è la strada che io ritengo essere giusta. Questa riflessione non vale solo per l’Italia, ma vale anche per i nostri cugini d’oltralpe.

Come si organizzino gli enti di soccorso nella gestione degli interventi è un tema che non deve interferire con la facilità di accesso ai soccorsi da parte dei cittadini.

Polizia di Stato, Carabinieri, Vigili del Fuoco e Guardia Costiera sono corpi nazionali*, mentre il soccorso sanitario è affidato alle regioni, che hanno anche il compito di introdurre il NUE 112 sul proprio territorio. Un quadro complesso.

Il lavoro svolto in Lombardia da AREU è una testimonianza di come possono essere raggiunti risultati di rilievo a livello europeo e globale.

* con l’eccezione dei corpi dei Vigli del Fuoco delle Provincie Autonome di Trento e di Bolzano.

#3 Il gap tecnologico

Un capitolo importante, nel 2019, riguarda l’aspetto tecnologia.

Le ultra-semplificazioni che ho avuto modo di leggere in questo periodo mi hanno reso ancora più consapevole dell’incapacità di comprendere la tecnologia e la sua implementazione nel settore dell’emergenza.

Che senso ha continuare a progettare e distribuire app per l’emergenza che sono completamente scollegate dal sistema informatico utilizzato nelle centrali? Significa che sarà il chiamante a dover comunicare a voce alla centrale (sempre che parlino la stessa lingua..), ad esempio, le coordinate GPS. Nel campo della Protezione Civile le cose non sono certamente differenti, tanto che ho smesso da qualche anno di tenere traccia di tutti gli scienziati che avrebbero risolto le emergenze con una app. Titoloni sui giornali locali (e non solo), presentazioni in pompa magna con i politici locali e poi… niente. Nessun aggiornamento dei contenuti.

Nessun aggiornamento rispetto ai sistemi operativi. Niente.

Non valgono niente, non servono a niente, se non al fatturato delle aziende che le hanno prodotte [abbiamo una traccia per un altro post, interessa?].

Nessuna app rivolta alla popolazione ha senso se non è costantemente aggiornata con informazioni che un cittadino qualunque può comprendere e mettere in pratica. Con avvisi e inviti all’azione scritti in una lingua chiara e comprensibile, spoglia di tecnicismi, baggianate e inglesismi fuori luogo. Questo richiedere risorse economiche, infrastrutturali e gestione dei contenuti. Costa. Costa soldi veri, persone reali che, con il proprio lavoro e la propria professionalità, sono in grado di assistere i cittadini che hanno bisogno di aiuto.

 

Una visione per il futuro, a partire da oggi

Siamo in un’epoca che ormai non riconosce più il valore della responsabilità dell’individuo

Viviamo ossessionati dalla necessità di non essere noi i responsabili, i colpevoli. Prendere la responsabilità di una decisione è un atto ormai riservato a pochi eroi, in via di estinzione.

Da questo punto di vista, la montagna è estremamente democratica. Esige rispetto, non perdona errori e distrazioni. Una delle rare occasioni nelle quali ognuno è responsabile delle proprie scelte, delle proprie azioni e delle conseguenze che ne derivano.

Simon ha scelto di andare ad esplorare un luogo poco frequentato da solo. Comprendo la scelta di non avere compagni di viaggio. Ritengo fosse cosciente del rischio che si sarebbe assunto.

Quale visione del futuro vogliamo immaginare? 

Ho iniziato a scrivere questo post il 21 agosto. Un mese dopo, ciò che è accaduto è ancora motivo di riflessione. Il mio disegno del futuro è, tutto sommato, semplice. Semplice come dovrebbe essere la chiamata di una persona che ha bisogno di aiuto.

  1. Accettare la responsabilità delle nostre scelte e delle conseguenze che ne derivano. L’energia sprecata nel trovare un capro espiatorio potrebbe essere investita in modo molto più produttivo. Se scegliamo di andare in un luogo nel quale “i telefoni non prendono”, siate coscienti del rischio e preparatevi ad affrontarlo. Oppure, torniamo indietro. Sputare veleno in tutte le direzioni non aiuterà.
  2. Uscire dalle gabbie, che possono apparire con le sembianze di un territorio di riferimento, di un ordine professionale, del livello di analfabetismo funzionale (!). L’unico punto di vista è quello del cittadino in stato di necessità, perciò il sistema di emergenza deve essere disegnato partendo dalla persona che ha bisogno di aiuto. Un sistema di emergenza semplice da contattare da parte chiunque, con le stesse modalità e in tutto il territorio nazionale. Anzi, in tutti gli stati che compongono l’Unione Europea.
  3. Il caso di Simon rappresenta l’ennesima occasione persa per dare piena applicazione alla normativa europea che riguarda il Numero Unico di Emergenza 1-1-2. Nel futuro prossimo, in tutta Italia il servizio di emergenza sarà raggiungibile tramite un solo numero (1-1-2), le chiamate saranno geolocalizzate (app 112 Where AREU, AML), gli operatori di centrale saranno in grado di conversare in più lingue e sarà possibile anche aprire una chat testuale per richiedere soccorso (pensate ad una persona che non è in grado di parlare per qualunque motivo). Ah, no. In alcune regioni è già possibile da qualche anno.

Nel 2019 non siamo in grado di avere un servizio di emergenza omogeneo in Italia, non siamo in grado di localizzare le chiamate automaticamente.

Nessuna normativa nazionale, nessun segnale da parte dei gestori telefonici.

Dopo le boutade iniziali, il numero unico di emergenza è rapidamente uscito dall’agenda politica nazionale e delle regioni che ancora non lo hanno attivato.

Simon ha scelto di avventurarsi da solo in montagna, in una zona isolata e di difficile accesso. Nonostante questo e nonostante le sue condizioni di salute gravissime, è riuscito a chiamare i soccorsi, ma senza riuscire a spiegare dove si trovasse. Dopo non molto, Simon è morto.

 

 

 

 

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