Ad Amatrice, un anno dopo

Non ero mai stato ad Amatrice dopo il terremoto del 24 agosto 2016. Nonostante fossi coinvolto nell’emergenza come tantissimi colleghi dell’INGV, non dovevo svolgere attività di campagna per la raccolta di dati necessari alle analisi dell’evento. Ho anche resistito alla tentazione di andare a “vedere il terremoto”, che comunque per chi fa il mio lavoro è essenziale per capire cosa succede quando si verifica un evento così grande. Per rispetto di chi ha subito il terremoto sulla propria pelle, e sta ancora soffrendo dopo oltre un anno, mi sono tenuto lontano.

L’occasione di recarmi ad Amatrice è stato l’evento “Insieme per convivere con i terremoti” organizzato dall’INGV domenica 29 ottobre, su invito del sindaco Sergio Pirozzi. Una giornata per incontrare la popolazione, raccontare quali sono le nostre attività, cosa abbiamo capito del terremoto in Italia centrale, quali gli insegnamenti ricevuti che possano aiutare nel prevenire future analoghe catastrofi. Lunedì 30, invece, c’è stato un incontro con gli studenti del liceo scientifico ai quali abbiamo proposto un laboratorio per parlare di come il terremoto abbia cambiato il loro territorio, ma anche i rapporti sociali, la memoria, i sogni.

E’ stata un’esperienza molto forte dal punto di vista emotivo. Durante la giornata di domenica abbiamo avuto modo di incontrare molte persone, in maggioranza cittadini provenienti da varie regioni italiane. Persone che si organizzano per visitare il paese, spendere soldi nei ristoranti e nei negozi, in una forma di solidarietà silenziosa che si ripete ogni domenica. Pochissimi gli abitanti di Amatrice che si sono presentati, quei pochi con tantissime domande e una gran voglia di raccontare. Probabilmente il terremoto è qualcosa di cui è ancora molto difficile parlare a 14 mesi di distanza.

Ne abbiamo avuto la prova durante l’incontro con gli studenti del liceo. Ci hanno spiegato, non senza grandi difficoltà, che per loro il problema è essenzialmente il fatto di essere tutti fuori casa (qualcuno nelle casette, qualcuno ancora non l’ha avuta, qualcuno si è spostato in altri centri). Di fatto la loro comunità non esiste più, è completamente smembrata. Non capiscono il ritardo nell’avvio della ricostruzione e hanno come modello di ricostruzione che ha funzionato quella seguita al terremoto dell’Aquila del 2009 (probabilmente se chiediamo agli aquilani non la pensano allo stesso modo).

Abbiamo capito che si sentono soli contro tutti: adulti, amministrazione comunale, Regione, governo. Parlano di un noi e un loro, un loro che comprende tutti gli altri, quelli che non stanno ricostruendo le case e il tessuto sociale. Il motivo di questa rabbia è forse contenuto in quello che ci ha detto una studentessa: “non è giusto che la mia vita sia stata stravolta in questo modo e che io non possa più vivere una vita normale come i miei coetanei”. In poche parole ha sintetizzato quello che è l’impatto reale di un terremoto sulle persone, qualcosa di cui non si parla mai e che andrebbe urlato: forse la prima emergenza da gestire.

Ma da questi ragazzi abbiamo comunque ricevuto un segnale di fiducia, nonostante tutto. Alla richiesta di spiegare con poche parole il terremoto, due di loro hanno scritto: “Abbiamo capito l’importanza delle persone, perché è da loro che può ripartire tutto”.

@CarloMeletti

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